Intervista di Silvia Lanzi, 10 giugno 2013
Quest’anno il pride nazionale si svolgerà a Palermo il 22 giugno. Sarà un giorno in cui tutte le realtà LGBT italiane scenderanno in piazza. Tra queste anche il gruppo palermitano di gay cristiani “Ali d’aquila” che, oltre ad essere presente alla sfilata, ha organizzato una serie di eventi di cui si è già dato conto sul portale. Fabio, componente del gruppo e uno dei curatori delle attività parallele, ha accettato di rispondere a qualche domanda. Ecco cosa ci siamo detti.
Perché un gruppo di cristiani omosessuali ha deciso di parteciparvi?
La domanda che si dovrebbe fare è un’altra: perché non dovremmo partecipare a un pride? I cristiani dovrebbero stare per il mondo, con il mondo, nel mondo. Convivere con tutta l’umanità, specie con chi è sofferente, con chi è umiliato e calpestato nella sua dignità e nei suoi diritti fondamentali.
Per capire cos’è un pride bisogna conoscerne la storia: è una manifestazione che nasce con la rivolta di Stonewall in America e le lotte di rivendicazione della comunità LGBT che reclamava il diritto di esistere.
Sembra un diritto banale oggi che siamo più visibili e nel vortice del circuito mediatico, ma veniamo da anni, anzi secoli, in cui non esistevano nemmeno le parole per definirci! Quello che Oscar Wilde chiamava “l’amore che non osa dire il suo nome”.
Ecco spiegato il senso dell’ “orgoglio” della parata: è la dignità di essere se stessi, di dire ciò che siamo, di mostrarci nella verità, in libertà. Il pride, per quanto animato, mantiene sempre un valore politico di rivendicazione, non è un corteo carnevalesco come viene ostentato dai media, o perlomeno non è solo quello.
C’è un elemento di giocosità, di allentamento delle barriere, di superamento anche dei ruoli tradizionalmente imposti del maschile e femminile, da cui derivano i travestimenti o gli svestimenti che spesso attirano le maggiori critiche. Ma la trasgressione, oltre ad essere una componente propria di ogni contesto festoso, è anche una reazione all’oppressione subita, e così può accadere di esagerare anche nell’esibizionismo o nelle provocazioni.
E la maschera, si sa, funge da cassa di risonanza per amplificare il messaggio, così chi normalmente non ha voce o è emarginato, trova in tal modo il proprio spazio di espressione.
Il pride ha però anche un valore catartico: le persone che quotidianamente non sono libere di esprimere se stesse e il loro diverso orientamento affettivo e sessuale, qui provano un senso di liberazione, trovandosi in un contesto in cui non sei più solo. E’ la forza della comunità, dello stare insieme. E le energie che si liberano danno nuova vita e nuovo impulso ad andare avanti.
Non rischiate di fare una specie di pride parallelo?
Sin dalla sua nascita il gruppo “Ali d’aquila” ha deciso di prendere parte ai pride. La prima volta per noi è stata nel 2009, e non essendosi mai organizzato un pride a Palermo abbiamo fatto allora una trasferta a Catania, per vivere quest’esperienza comunque pur sempre nella nostra terra, in Sicilia.
Ci siamo interrogati su quale dovesse essere il senso del nostro esserci. Abbiamo voluto portare la nostra testimonianza come cristiani, realizzando uno striscione in maniera artigianale, con un lenzuolo strappato e una bomboletta spray, dove abbiamo scritto le parole della prima lettera di Giovanni: “chi ha paura non è perfetto nell’amore” e la firma del nostro gruppo.
Inoltre abbiamo diffuso semi di parola, dei foglietti con scritte evangeliche sull’amore di Dio, il sentirsi accettati e amati per quello che si è. All’inizio eravamo un po’ timorosi non sapendo il tipo di reazione che potessimo suscitare in un contesto così diverso dalle nostre chiese.
Ci siamo posizionati in coda al corteo, quasi in punta di piedi, ma quando la gente ha letto il nostro striscione sono iniziati gli applausi, ed è stato un momento di liberazione e di gioia, molto emozionante. Il sorriso accennato è diventato sempre più forte. Eravamo noi, cristiani e omosessuali, senza paura di dirlo. Portavamo una testimonianza di fede in un contesto che probabilmente non aveva mai ricevuto un messaggio simile.
Passando davanti una chiesa, un ragazzo del gruppo ha iniziato a soffermarsi con lo striscione. Visibilmente commosso, ha aperto lo striscione lì davanti, quasi a voler dire che noi eravamo lì in mezzo a loro, gli esclusi della società, e chi era dentro la chiesa sarebbe dovuto uscire lì con noi. E’ stato un gesto simbolico e non premeditato: nessuno di noi aveva capito all’inizio cosa stesse facendo il fratello, solo dopo ci siamo resi conto del valore di quell’azione.
Non abbiamo fatto un pride parallelo: siamo stati insieme agli altri, condividendo quel percorso, e anche se non faremo tutti le stesse scelte o azioni nella vita, abbiamo camminato comunque insieme. Il cristiano non dovrebbe dividere ma unire.
Ai pride testimoniamo che si può essere cristiani e omosessuali senza frattura, senza scissioni dell’io, e che il messaggio di Gesù è universale e vale sempre e per tutti, anche per le sorelle e i fratelli LGBTQ che sono discriminati.
Vi proponete di avvicinare e interagire con “persone LGBT che vivono con disagio la propria omosessualità anche in relazione alla propria fede; genitori e amici di persone LGBT; chiese e comunità cristiane; cittadinanza locale e visitatori che prenderanno parte alle iniziative del Palermo Pride 2013”. Un progetto ambizioso. Forse troppo.
Essere cristiani vuol dire avere fiducia. Non tanto nelle proprie forze, che sono sempre fragili e limitate, ma fiducia nel progetto del Padre. Crediamo che ciò che facciamo non serva solo a noi ma a tutti. Sappiamo che il volere di Dio corrisponde al bene dell’uomo, e in questo includiamo il benessere delle persone LGBTQ.
Dare visibilità alle iniziative in favore dei diritti delle persone significa aiutarle a vivere più dignitosamente. Non sappiamo a quante persone riusciremo ad arrivare, ma noi facciamo la nostra piccola parte, consapevoli che nessuno è indispensabile ma tutti siamo importanti.
Le iniziative da voi poste in essere sono molto corpose. La chicca è senz'altro la mostra “Just married”, ma anche le altre sono di tutto rispetto. Dalla presentazione di “Marito e marito” di Gianluca Tornese a quella dell'ultimo libro di Franco Barbero “Benedizione delle coppie omosessuali”, i vari incontri/dibattiti su tematiche riguardanti fede e omosessualità - dibattiti aperti a contributi di teologi e religiosi di diverse confessioni. Secondo te questo avrà delle ricadute positive?
Certamente ci saranno delle ricadute positive, e i primi frutti già si intravedono. Lo vediamo da noi stessi, dalle persone che frequentano il gruppo, da come la Parola ci abbia sanato e continui a portare frutto a noi e intorno a noi. E’ un cammino che non nasconde difficoltà, che può anche conoscere momenti di tensione o di arresto. A volte il gruppo sembra molto precario e non destinato a proseguire, eppure andiamo avanti. Così è la vita. Se anche dovesse finire quest’esperienza, continueremo a portare frutto in altre strade e in altri modi se saremo fedeli a noi stessi, a ciò per cui siamo chiamati, alla nostra vocazione. Il cambiamento fa parte della vita, negarlo significa negare la vita stessa.
Il vostro è un attivismo gay cristiano?
Non credo ci sia bisogno di ulteriori etichette. Abbiamo sempre bisogno di dare nomi alle cose, ma a volte può essere deleterio. Quando dovevamo fare lo striscione del gruppo si è aperta una discussione sul nome: siamo un gruppo di omosessuali o meglio esplicitare che siamo gay e lesbiche? In quel momento non c’erano bisessuali o transessuali, ma si pose pure la domanda: e se vi entreranno a far parte? E che dire dei queer, parola sconosciuta ai più? Personalmente proposi di includere tutto l’alfabeto, anche la E di eterosessuali, non sia mai che siamo noi a emarginarli! Alla fine vinse l’acronimo più noto di LGBT, ma la Q pervade ormai i discorsi di molti, me compreso, e magari si riaprirà la votazione sul nome. E’ un discorso che ci fa sorridere, in fondo nessuno di noi è realmente attaccato all’etichetta, e se si potesse ne faremmo anche a meno, ma è ciò che ci identifica per una nostra caratteristica, che non è certamente l’unica ma diventa quella rappresentativa agli occhi esterni. Ora, se dobbiamo aggiungere anche la definizione di “attivisti” ai gay cristiani ci cambia poco. Ognuno dovrebbe essere attivista della sua vita, ma specificarlo significa dire che esiste anche il contrario, chi non è attivista, ovvero chi non partecipa attivamente alle cose che lo riguardano. Arriva però un momento in cui ognuno deve prendere delle decisioni per sé o per altri. Che tu scelga o non scelga di agire, la vita continuerà ad andare avanti e deciderà per te se non lo farai tu. Allora meglio scegliere responsabilmente ed essere protagonisti delle proprie azioni piuttosto che vivere sulle scelte altrui. Anche il silenzio e la non-azione è una scelta, ma a volte è la peggiore.
Un pride inclusivo, dunque, dove ognuno possa essere se stesso.
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