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“Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite”

(Romani 12,14)

L'ecumenismo e le persone lgbtiq credenti

Testimonianza di Fabio del gruppo "Ali d'aquila" al convegno REFO di Palermo

Convegno Rete Evangelica Fede Omosessualità

Palermo, 24-25 novembre 2012

“Accoglietevi gli uni gli altri”

L'accoglienza delle persone lgbtiq nelle Chiese Cristiane in Italia. Nuove prospettive teologico-pastorali L'ecumenismo e le persone lgbtiq credenti. Testimonianza di Fabio del gruppo “Ali d'aquila”

Il gruppo “Ali d'aquila” nasce da una preghiera. E’ stata la volontà di ricordare e il bisogno di pregare per tutte quelle persone che subiscono discriminazioni per l'orientamento sessuale. Ciò ha spinto alcuni di noi a realizzare, nell'aprile 2008, una veglia di preghiera per le vittime dell'omofobia e della transfobia nella Chiesa di San Francesco Saverio all'Albergheria, trovando in quella comunità, e in particolare nella persona di Don Cosimo Scordato, un'accoglienza gratuita e totale. Era la prima volta in una chiesa cattolica di Palermo, dopo che l'anno precedente un altro gruppo, “Koinonìa”, aveva fatto la prima veglia nella chiesa valdese di via Spezio.

Fin dall'inizio, il gruppo si è posto in una prospettiva interconfessionale poiché le persone che ne facevano parte provenivano da differenti confessioni religiose e molteplici esperienze di fede. Le nostre diversità si ricomponevano in Cristo, centro della nostra fede, e come persone omosessuali abbiamo trovato nel gruppo un luogo, fisico e spirituale al contempo, dove potere anzitutto parlare delle nostre vite e del nostro essere credenti e omosessuali, senza che i termini si ponessero in antitesi ma cercando di valorizzare il dono della fede con “il dono dell'omosessualità”, come lo ha definito pubblicamente Don Franco Barbero in occasione del Giubileo degli omosessuali nel 2000.

L'essere poi diversi tra i diversi, ognuno ulteriormente differente dall'altro, per opinioni, sensibilità, prassi, spiritualità diverse, pur credendo nello stesso Dio, da un lato arricchisce la nostra esperienza, ma dall'altro lato rende più complicato trovare delle sintesi, e non nascondiamo le difficoltà, espresse talvolta in estenuanti riunioni e discussioni, che rischiano di provocare delle “impasse” nell'organizzazione del gruppo, per un paradossale eccesso di democrazia interna. Ciò deriva da una scelta di fondo che ci siamo dati agli albori: non delegare le nostre decisioni ad un singolo, che fosse una guida spirituale, un responsabile del gruppo o un consiglio direttivo, ma lasciare ogni volta a tutto il gruppo le scelte, secondo un criterio di presenza e di maggioranza che però tenesse in considerazione pure le posizioni minoritarie. Consapevoli che l'unanimità di una decisione è sempre auspicabile ma non sempre perseguibile, abbiamo tentato di dare spazio alle diverse esigenze, anche attraverso una programmazione differenziata che tenesse insieme i vari possibili percorsi confluenti in un gruppo. La difficile conciliazione delle nostre ineludibili differenze ha condotto a muoverci per piccoli passi, secondo obbiettivi condivisi solo nel breve termine, senza riuscire a fare una programmazione di lungo periodo e a più ampio respiro, anche a causa delle scarse risorse umane e la precarietà dell'organizzazione informale. Sta sempre alla responsabilità di ognuno e di tutti insieme trovare la strada giusta, o almeno quella meno sbagliata.

L'ecumenismo è il campo dove sperimentiamo appieno “la convivialità delle differenze” (Don Antonio Bello),  il terreno in cui proviamo la nostra stessa fede, in relazione all'altro diverso da me. E’ una strada percorribile e imprescindibile se non vogliamo che la lotta per i diritti delle persone lgbtiq (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, intersessuali, queer) resti confinata e rinchiusa nelle sacrestie delle nostre piccole e protette chiese di origine. Le nostre parrocchie dovrebbero essere solo il punto di partenza e mai il punto di arrivo della nostra fede.

Non è semplice né scontato fare determinati passi, anche in relazione alla questioni di visibilità del gruppo e dei singoli, e nel tempo abbiamo affrontato diverse sfide che ci hanno posto al centro dell'attenzione mediatica, in particolar modo per le vicende legate ai veti della chiesa cattolica sulla nostra organizzazione delle veglie interconfessionali contro l'omofobia e la transfobia.

Negli anni, queste veglie sono state vissute in una dimensione sempre più ecumenica che, auspicavamo, potesse unire le diverse chiese cristiane nella preghiera per le vittime di un male che discrimina anche dentro le chiese. Per questo abbiamo dato un valore interconfessionale alla veglia, che da allora è divenuta il momento culminante delle nostre attività annuali. Al di là delle diverse posizioni teologiche verso le persone omosessuali, abbiamo creduto che la preghiera fosse il vettore unificante di tutti i cristiani. Nella preghiera e nella condivisione proviamo a sperimentare la grazia della riconciliazione: una riconciliazione con noi stessi, con le nostre famiglie, con il nostro intorno sociale, con la Chiesa, con Dio… ed anche con i nostri carnefici. Come abbiamo scritto nella nostra “Carta dei valori”:

“Vogliamo percorrere un cammino di riconciliazione con la Chiesa, attraverso il dialogo, il confronto e la conoscenza reciproca, nella consapevolezza che la dimensione omoaffettiva è un valore e può ben costituire un percorso di crescita e di approfondimento per vivere, senza pregiudizi, una relazione autentica con l'altro. Crediamo, infatti, in una Chiesa ove ogni diversa e specifica identità possa trovare riconoscimento e piena realizzazione nell'unità di Cristo e, pertanto, ci adoperiamo affinché si compia una piena accettazione ed accoglienza delle persone omosessuali all'interno delle Chiese.”

Questa è la “missione” che ci siamo dati, questo pensiamo sia il “talento” di cui parla Gesù nella parabola: essere pienamente se stessi per vivere una relazione autentica con il prossimo e con Dio, “cercare se stessi per trovare Dio”, secondo un'espressione usata da Padre John McNeill. (1)

Nel nostro cammino di gruppo ci siamo rivolti dapprincipio ad alcuni sacerdoti e pastori amici, consapevoli di trovare in loro un porto sicuro su cui potere iniziare a parlare di fede e omosessualità senza timori o censure. All'inizio abbiamo riproposto la veglia per ricordare le vittime dell'omofobia e della transfobia nella nostra chiesa di San Saverio, ma negli anni successivi abbiamo voluto allargare quell'esperienza in altre chiese. Così abbiamo deciso di scrivere una lettera a tutte le parrocchie cattoliche e le comunità protestanti di Palermo, affinché potessero conoscerci. Nella lettera, inviata il 7 aprile 2010, così scrivevamo:

“Siamo un gruppo cristiano che, in relazione alla comune dimensione omoaffettiva, propone un percorso di crescita umana e spirituale. Vorrai tenere presente, nella Tua azione parrocchiale e pastorale, dell'esistenza del Gruppo e, ove lo riterrai opportuno, comunicare alla comunità tutta a Te affidata ed ai giovani in particolare del cammino di crescita umana e spirituale che stiamo percorrendo; ciò al fine di consentire a tutti coloro ai quali ci rivolgiamo o che eventualmente vivono in una situazione particolare e di disagio, di prendere contatti con il Gruppo Ali d'aquila, dove potranno trovare un clima di rispettosa accoglienza e di amichevole aiuto. Ci piacerebbe incontrare anche Te, oltre che gli altri sacerdoti, per instaurare un dialogo proficuo in Cristo.”

Su oltre 200 lettere imbustate ed inviate, abbiamo ricevuto meno di 10 risposte, provenienti per lo più da quei sacerdoti e pastori che già ci conoscevano. Nonostante il muro di silenzio, o forse proprio per quello, avevamo deciso di fare la veglia del 2010 in una chiesa cattolica molto centrale e frequentata a Palermo, la Rettoria di Santa Lucia in via Maqueda, nel cosiddetto “salotto buono” della città, uscendo così dai recinti protetti della nostra rettoria periferica. Poche ore prima della veglia, il rettore di quella chiesa, nonostante ci avesse accordato la disponibilità della struttura, ci comunica di alcuni lavori improrogabili al portone della chiesa che ne avrebbero impedito l'accesso e dunque una sua momentanea chiusura. Siamo stati quindi costretti a trasferirci nella vicina chiesa valdese di via Spezio, consapevoli che in quel momento fosse l'unica realtà che ci avrebbe accolti senza problemi, visto che li si era già svolta una veglia analoga nel 2007. Il fatto alquanto singolare fu che la chiesa cattolica che ci era stata negata per un problema d'ingresso al portone principale, vedeva quella sera stessa realizzarsi un'altra veglia, organizzata dalla comunità di sant'Egidio. I motivi della chiusura “ad personam” della chiesa cattolica ci furono presto palesati e in seguito confermati da più fonti: era stata la Curia a mettere un veto alla veglia contro l'omofobia e la transfobia, in quanto organizzata da un gruppo sconosciuto e non autorizzata dall'Arcidiocesi. Forte è stato lo sconforto in quel momento nel vederci chiudere i portoni di una chiesa, semplicemente per pregare. Sembrava che ci fosse negata anche la possibilità di commemorare i morti, come se i morti di omofobia e transfobia fossero meno degni di essere ricordati. Probabilmente questo è stato l'evento più doloroso vissuto dal gruppo, sebbene non si è trattato di un episodio isolato, come noto.  

Uno dei motivi per cui la nostra veglia era stata negata dalla Curia ci dicevano fosse dovuto al fatto che non conoscevano il gruppo “Ali d'aquila”. Così l'anno seguente abbiamo deciso di scrivere una lettera al Cardinale, Sua Eminenza Paolo Romeo, e p.c. al Vescovo Ausiliare, Mons. Carmelo Cuttitta, in cui chiedevamo di poterci incontrare. Nella lettera, inviata con raccomandata di ritorno il 5 aprile 2011, abbiamo richiesto anche il consenso e la partecipazione dei nostri pastori alla veglia:

“Ogni anno il nostro gruppo organizza in maggio una veglia interconfessionale di preghiera per le vittime dell'omofobia e della discriminazione per l'orientamento sessuale. Per realizzarla, stiamo coinvolgendo anche altre comunità e laici provenienti da varie realtà ecclesiali di Palermo. Insieme a loro, vorremo preparare questa veglia il 13 maggio, augurandoci di trovare una chiesa che possa accogliere la nostra richiesta, anche attraverso il Vostro consenso. Vorremmo che questo momento di preghiera sia il primo passo per avviare con Voi, pastori di questa diocesi e nostri fratelli in Cristo, un dialogo che sentiamo urgente e imprescindibile per la nostra vita di cristiani. Saremmo profondamente lieti di ricevere la Vostra adesione alla veglia, e auspichiamo altresì un incontro con Voi per poterci conoscere.”

Non essendo giunta alcuna risposta dal palazzo Arcivescovile, il gruppo si è mosso autonomamente preparando la veglia insieme alla comunità di San Saverio, la Chiesa Evangelica Luterana e la Chiesa Valdese di via Spezio, con il contributo della Comunità Kairòs per la Lectio Divina. Si pose il problema della chiesa dove fare la veglia: restava il desiderio di pregare in una chiesa cattolica. In quelle settimane abbiamo conosciuto Padre Gianluigi Consonni, comboniano, insediato da meno di un anno a Palermo dopo diciotto anni di missione in Brasile. L'esperienza pastorale di Padre Luigi era sempre stata vicina agli ultimi, in contesti difficili ove si vive ogni giorno la discriminazione e l'emarginazione, perciò non ebbe alcuna esitazione nell'accettare la proposta di fare una veglia contro l'omofobia e la transfobia nella sua chiesa. Tra l'altro la sua parrocchia aveva lo stesso nome della rettoria che ci era stata negata l'anno precedente: era un'altra Chiesa di Santa Lucia, ma questa si trovava nel lungomare della città, in piazza della pace, nei pressi del carcere Ucciardone. Questa parrocchia condivise però le stesse sorti della rettoria di Santa Lucia dell'anno precedente: un nuovo veto dell'Arcidiocesi impedì l'utilizzo di una chiesa cattolica per quella veglia. Ancora una volta espulsi dal tempio. Il gesto diverso fu stavolta la presa di posizione pubblica del sacerdote coinvolto, Padre Luigi, con la sua decisione di non occultare o ritardare la verità su quanto stava accadendo ma scrivendo subito sul sito internet della parrocchia di Santa Lucia quanto comunicato dall'Arcidiocesi il 4 maggio 2011:

“La Curia di Palermo, venuta a conoscenza dell'iniziativa, mi ha invitato al pieno rispetto delle norme date dalla Santa Sede al n.ro 17 del documento "Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali” del 1-10-1986. Quindi mi invita sospendere l'incontro di preghiera del giorno 12 nella parrocchia di Santa Lucia. P. Luigi"

Il documento citato dalla Curia faceva riferimento all'esclusione dei gruppi omosessuali nell'organizzazione di celebrazioni religiose all'interno di una chiesa:

“Dovrà essere ritirato ogni appoggio a qualunque organizzazione che cerchi di sovvertire l'insegnamento della Chiesa, che sia ambigua nei suoi confronti, o che lo trascuri completamente. Un tale appoggio, o anche l'apparenza di esso può dare origine a gravi fraintendimenti. Speciale attenzione dovrebbe essere rivolta alla pratica della programmazione di celebrazioni religiose e all'uso di edifici appartenenti alla Chiesa da parte di questi gruppi, compresa la possibilità di disporre delle scuole e degli istituti cattolici di studi superiori. A qualcuno tale permesso di far uso di una proprietà della Chiesa può sembrare solo un gesto di giustizia e di carità, ma in realtà esso è in contraddizione con gli scopi stessi per i quali queste istituzioni sono state fondate, e può essere fonte di malintesi e di scandalo” (2)

Seguirono riunioni accese tra noi e gli altri organizzatori. La Chiesa Luterana profilò persino un incidente diplomatico-ecumenico per la proibizione di una veglia di preghiera interconfessionale e l'esclusione delle comunità protestanti all'interno di una chiesa cattolica. Si prese la decisione, all'unanimità, di fare ugualmente la veglia nel piazzale antistante la chiesa, in piazza della pace. Eravamo indignati dal veto, come l'anno precedente, ma stavolta non eravamo più soli. In un comunicato diffuso il 5 maggio 2011, il gruppo “Ali d'aquila” ha espresso il suo dolore per il veto, posto dalla Curia e comunicato al gruppo tramite terzi, e affermava la volontà di pregare in qualunque luogo (come ci dice Gesù: “Se due o tre si riuniscono per invocare il mio nome, io sono in mezzo a loro” - Matteo 18, 18-20), ribadendo:

“Poiché la nostra intenzione era, e resta, unicamente quella di esprimere con la preghiera la nostra comunione con quanti soffrono a causa del pregiudizio omofobico, manifestiamo l'intenzione di volere continuare a pregare anche dinanzi ad una porta chiusa.”

Due giorni prima della veglia veniamo contattati dalla Curia per essere invitati ad un incontro col Cardinale Romeo per il giorno seguente. Durante il colloquio col Cardinale e il Vescovo Ausiliare, questi non fanno alcun riferimento al documento da cui era tratto il veto ma pongono l'attenzione ad altri aspetti, quali il non aver seguito le corrette procedure presso l'ufficio ecumenico, l'aver agito con ritardo nella richiesta dei locali e non aver firmato la lettera apponendo solo la sigla del gruppo “Ali d'aquila”. I paletti teologici sembravano non esistere più, e ora la burocrazia, implacabile, pesava sopra ogni altra cosa. Speravamo che l'incontro potesse essere un modo per riaprire le porte della chiesa negata, ma in verità ci proposero di tornare nella chiesa valdese dove già avevamo fatta la veglia l'anno precedente. Uscimmo da quell'incontro frastornati: da una parte eravamo sereni per esserci mostrati per quello che eravamo, con le nostre storie e la nostra autenticità, dall'altra ci accompagnava un sentimento di amarezza per non essere riusciti a togliere il veto. Ma qualcosa si stava muovendo. Seppure non avevamo ottenuto la chiesa, ci eravamo lasciati con la promessa di rivederci, per avviare un dialogo di reciproca conoscenza. Il rumore causato dalla vicenda ha richiamato l'attenzione dei media, e probabilmente sono essi che ci hanno aperto le porte della Curia, allargando al contempo la visibilità della veglia e del gruppo stesso.

Alla veglia in piazza della pace il 12 maggio 2011 parteciparono oltre duecento persone, tra cui anche alcuni esponenti politici venuti in gesto di solidarietà. Un black-out locale in quelle ore ha reso la piazza totalmente al buio ma particolarmente accesa per il calore dei presenti e delle preghiere. Durante la veglia, Padre Luigi ha compiuto alcuni gesti simbolici che ha così spiegato: “illuminare l'interno della Chiesa: essa, per la presenza del Signore, è luce che illumina tutti. Spalancare la porte del tempio: perché la missione della Chiesa è accogliere tutti coloro che credono nell'opera redentrice di Cristo e ad essa affidano le proprie sofferenze e speranze. Mantenere chiuso il cancello: considerato che, attualmente, sussistono ancora molti ostacoli da superare. (…) L'esposizione di questi segni hanno significato la certezza di un futuro fondato sulla comunione fraterna, in sintonia con le parole del profeta Geremia”.

Dopo qualche mese, Padre Luigi Consonni è stato trasferito nel nord Italia per circostanze estranee alla sua volontà. Questo fatto ci ha ulteriormente sconvolti e resi ancora più preoccupati nel coinvolgere sacerdoti, consapevoli dei rischi che questi possono incorrere nell'andare contro i loro superiori. Ma Padre Luigi ci ha sempre e solo ringraziato per l'occasione che gli abbiamo dato di servire con fedeltà il Vangelo. “Anche se abbiamo perso, non siamo sconfitti. A volte per vincere bisogna perdere. Così ci insegna Gesù”, ci ripeteva Padre Luigi prima della sua partenza.

All'approssimarsi della preparazione della veglia del 2012, il gruppo ha scritto all'ufficio diocesano per l'ecumenismo e p.c. al Cardinale Romeo e al Vescovo Ausiliare per chiedere all'ufficio preposto di organizzare una veglia di preghiera per le vittime dell'omofobia, come suggerito lo scorso anno dal Cardinale, offrendo la nostra disponibilità ed esperienza per la realizzazione della stessa. Ancora una volta abbiamo cercato una chiesa cattolica, ma stavolta abbiamo avuto una risposta dalla Curia, che ci ha convocati per discutere insieme della veglia. Così il 5 maggio il Vescovo Cuttitta ha incontrato il gruppo insieme ad alcuni esponenti della comunità di San Saverio e Don Carmelo Torcivia, convenendo un testo che liturgicamente potesse andare bene, mettendo in risalto le storie delle vittime ricordate nella veglia e, al contempo, distinguendo la liturgia della parola e la preghiera con un momento specifico rispetto alle testimonianze. L'adesione dell'Arcidiocesi alla veglia ha condotto altre comunità ad aggregarsi in coda a quelle che già vi avevano aderito negli anni precedenti  (Comunità S. Saverio - Parrocchia di S. Gabriele Arcangelo -  Parrocchia di S. Giuseppe Artigiano - Chiesa Luterana - Chiesa Valdese di via Spezio - Chiese Valdesi di Trapani e Marsala - Missionari Laici Comboniani - con la lectio divina a cura della Comunità Kairòs). La veglia si è infine realizzata nella parrocchia di San Gabriele Arcangelo, nella piazza omonima, con la partecipazione di un delegato arcivescovile, Padre Roberto Zambolin, che ci ha accolti con un “benvenuti a casa”. Una Chiesa che sia casa per tutti. Dovrebbe essere la normalità, ma solo un anno prima non lo era, e in tanti altri luoghi in Italia e nel mondo non è ancora un discorso pacifico: tante persone, non solo omosessuali o transessuali, vivono ancora la discriminazione e l'emarginazione anche dentro le loro chiese che li hanno cresciuti.

Allargare la veglia di preghiera per le vittime dell'omofobia e della transfobia in una prospettiva interconfessionale, coinvolgendo sempre più comunità ecclesiali e laiche, ci ha permesso oggi di non essere soli nelle nostre lotte e di condividere l'esperienza con altre chiese, in una dimensione realmente ecumenica. Le esperienze vissute ci hanno anzitutto rinforzato i legami con la nostra comunità d'adozione, la comunità di San Saverio, di cui il gruppo “Ali d'aquila” si percepisce non come una costola a sé ma parte integrante dello stesso corpo. In secondo luogo, l'esperienza delle veglie ci ha permessi di esplorare il territorio ecumenico, e scoprire una solidarietà delle piccole comunità protestanti locali e di alcune comunità cattoliche. I veti imposti dalla Curia romana e palermitana, lungi dall'arrestare il nostro cammino, hanno semmai dato maggiore risalto alle nostre rivendicazioni, e probabilmente il coinvolgimento dei vari media nelle vicende ha inciso a nostro favore, portando al cambiamento della posizione dei vertici ecclesiastici. L'ultima veglia del 17 maggio 2012 ha visto una massiccia partecipazione di persone, circa trecento, ed anche stavolta i media hanno dato maggiore visibilità alla veglia, richiamando i veti passati all'insegna del cambiamento.

“La vera profezia del nostro tempo è abitare il tempo, il nostro presente. Con la duplice consapevolezza che si tratta di un tempo con le sue fatiche, le sue paure, ma anche le sue gioie: il nostro tempo” dice Don Luigi Ciotti, che cita spesso anche la metafora delle chiese come un albero, narrata da un parroco milanese, Don Angelo Casati: “Vorrei che le chiese fossero come un albero, che non chiede agli uccelli da dove vengono o dove vanno, ma offre loro ombra e cibo, lasciando poi che volino via” (3)

Il cammino percorso in questi pochi ma intensi anni non è stato sicuramente facile, ma indubbiamente pieno di Spirito Santo, coi suoi tanti doni, incontri di persone, condivisioni, preghiere ed agape. Da soli non avremmo fatto così tanta strada, per questo abbiamo bisogno di una comunità di fede, per sostenerci e andare avanti insieme verso quella “verità che ci rende liberi” (Giovanni 8,32), condividendo gioie e sofferenze che sono le compagne di viaggio di qualunque cammino, ma che se vengono affrontate insieme divengono più leggere, col supporto delle sorelle e dei fratelli di fede.

Un ostacolo alla nostra liberazione è ancora l'omofobia o omonegatività, che non viene soltanto da fuori ma che ognuno si porta dentro, anche in piccole dosi, per le esperienze vissute in una società che resta omonegativa ed eteronormativa. La parola di Dio, se non distorta o travisata per reprimere le aspirazioni delle persone e legittimare le varie forme di schiavitù, può trasformarsi in una parola di liberazione, piuttosto che di condanna. La buona novella è giunta per tutti: questo dobbiamo testimoniare come cristiani alle nostre sorelle e fratelli lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, intersessuali, queer… eterosessuali. Siamo tutti custodi delle nostre sorelle e dei nostri fratelli. L'evangelo, che ogni essere umano attende per realizzarsi compiutamente, agendo secondo la volontà di Dio, attende anche noi per il compimento. Questa è la nostra proposta di fede: trasformare quella che è ancora vista come la maledizione dell'omosessualità in una benedizione, come abbiamo cercato di fare in uno studio biblico che andasse oltre i versetti incriminati per affermare il progetto d'amore di Dio su ogni donna e ogni uomo, e dire a ogni persona lesbica, gay, bisessuale, transessuale, intersessuale, queer, che non è sbagliata e che - a prescindere da qualunque colpa o merito - Dio li ama per ciò che sono.

Dice il Signore nel libro dell'Esodo: “ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me” (Esodo 19,4). Così il Salmo 90 recita: “egli ti libererà dal laccio del cacciatore, dalla peste che distrugge, ti coprirà con le sue penne, sotto le sue ali troverai rifugio” (Salmo 90, 3-4). Ed ancora nel Deuteronomio si dice di Dio: “come un'aquila che veglia la sua nidiata, lo sollevò sulle sue ali” (Deuteronomio 32,11). Anche il profeta Isaia ci ricorda che “quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile” (Isaia 40,31). Nomen omen. Nel nome del gruppo sta la nostra missione. Ecco, noi vorremmo fare questo, volare alto, per essere messaggeri della buona novella, testimoni del Regno di Dio, seguaci del Cristo Risorto. Noi siamo il sale della terra, noi siamo la luce del mondo che non può restare nascosta, dice il Signore, così risplenda la nostra luce davanti agli uomini, perché vedano le nostre opere buone e rendano gloria al nostro Padre che è nei cieli (Matteo 5, 13-16). Ma per risplendere come cristiani autentici dobbiamo essere autentici, anzitutto con noi stessi. Ogni percorso inizia da se stessi. Come dice Sullivan, a ciascuno il compito di trasformare le proprie ferite in punti di inserimento per le ali.



NOTE BIBLIOGRAFICHE:

(1) Cfr. Valerio Gigante, Cercare se stessi per trovare Dio. Intervista a John McNeill, Edizioni Piaggie, Firenze, 2011

(2) Art. 17 della “Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali” del 1-10-1986

(3) Maria Antonietta Schiavina, “Don Ciotti. La diversità è il sale della vita”, in Il Tirreno. Livorno, del 2 giugno 2012, consultabile su http://altrevite-livorno.blogautore.repubblica.it/2012/06/02/don-ciotti-la-diversita-e-il-sale-della-vita/

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